EMERGENZA CORONAVIRUS – IL PUNTO DI VISTA PSICOLOGICO


Quando abbiamo iniziato a sentire parlare di Coronavirus, di Covid-19, la prima reazione che abbiamo avuto è stata una sorta di velata euforia: col sorriso, la maggior parte delle nostre menti sono state attraversate da pensieri quali “Evviva, finalmente qualche giorno di vacanza extra…così potrò rilassarmi, rimpinzarmi di film e libri…”. Pian piano però, a mano a mano che la situazione ha iniziato a peggiorare ed i numeri di vittime e contagiati ha iniziato a crescere, la nostra euforia iniziale ha iniziato ad esser sostituita d uno stato di paura: abbiamo cioè iniziato a renderci conto che stare rinchiusi per giorni, mentre fuori imperversa una strage di cui ancora è difficile intravedere la fine, non può più essere considerato una vacanza.

In queste ultime settimane siamo infatti chiamati a sperimentare l’isolamento, una condizione che, essendo noi esseri sociali per natura, inevitabilmente non può che creare disequilibri e problemi.
A partire da alcuni studi effettuati a seguite di altre pandemie, seppur meno gravi e diffuse di quella che stiamo vivendo – mi riferisco alla SARS del 2003 – si calcola che le conseguenze della condizione di isolamento anche per durate inferiori ai dieci giorni, siano assoggettabili a conseguenze a lungo termine, come ad esempio sintomi da disturbo post traumatico da stress e abuso di alcol o altre sostanze.

Quali potranno essere, dunque, le conseguenze della quarantena che sta vivendo in questi mesi l’Italia? Le conseguenze saranno ravvisabili su ogni tipo di fronte: sicuramente economico, ma anche certamente psicologico.
Non va infatti trascurato il fatto che le mura delle nostre case non contengono solo famiglie felici, con appartamenti da centinaia di metri quadrati, con terrazzi e giardini…Molte delle case che occupano il nostro territorio imprigionano famiglie che già in condizioni di “normalità” vivevano situazioni difficili…pensiamo ai casi di violenza domestica, alle famiglie che stavano attraversando gravi crisi, alle persone che già prima dell’arrivo della pandemia stavano combattendo con malattie difficili o stavano attraversando lutti e traumi….o ancora, alle milioni di persone psichicamente fragili (secondo l’ISTAT, stando ai dati del 2015 si contavano circa 2 milioni e 800.000 italiani che soffrono di depressione, 245.000 italiani circa che soffrono di schizofrenia, circa 1 milione di persone soffre di disturbi bipolari), ai quali vanno aggiunti i pazienti che soffrono di dipendenza da sostanze, i pazienti con demenze e quelli con patologie legate ai disturbi d’ansia.
Tutte queste qui elencate, rappresentano categorie di cui spesso non si parla…rappresentano un problema del quale, poiché al momento attuale siamo presi e assorbiti dall’emergenza sanitaria, non viene ancora considerato, ma con le quali sicuramente, al termine di questa pandemia, toccherà fare i conti.
A tutte queste categorie di persone già fragili, molte delle quali per via della condizione di isolamento non stanno più uscendo di casa né avendo contatti relazionali (in molti casi salvifici), andranno ad aggiungersi tutte le persone sulle quali la pandemia lascerà i segni a causa di lutti e traumi causati proprio dalle perdite causate dal Coronavirus.
Per molte persone, il regime di isolamento forzoso a cui siamo chiamati, con il quale si chiede di rinunciare ai contatti umani, personali o terapeutici, rappresenta una vera e propria spinta verso il baratro.
In una società dove la salute mentale viene ancora stigmatizzata e dove, tra i molti di coloro che per loro fortuna non ne soffrono, regna la percezione, che la salute mentale non sia un malessere reale. Ma le malattie mentali non sono leggerezze. Uccidono. Si conta, ad esempio, che le condizioni mentali nel 2016 abbiano causato oltre 21000 morti in Italia.
Secondo la psicoterapeuta Costanza Jesurum “Una persona che soffre di disturbi d’ansia potrebbe provare un’ansia incontenibile, e una persona che ha un problema di alcolismo che magari aveva appena cominciato a trattare con terapia di gruppo e individuale si ritrova a bere più di quanto facesse negli ultimi tempi. È come se il lockdown fosse una prova difficile e lunga, a cui queste persone non sono preparate e che può travolgerle, perché taglia molte risorse che sono importanti.
Si teme molto un aumento dei tentativi di suicidio e un aumento degli esordi psicotici. Sono anche molto preoccupata per le famiglie gravemente disfunzionali, dove ci sia violenza verbale e fisica e dove ci dovessero essere minori costretti a subirla o ad assistervi senza poter accedere a nessun aiuto esterno.”

Un primo segno di quanto le condizioni cliniche dal punto di vista della salute mentale stiano precipitando è dato dall’impennata dei casi di trattamento sanitario obbligatorio. A Torino, da una media di un TSO ogni due giorni, con il lockdown si è passati a picchi di nove TSO al giorno. Al di là delle sofferenze umane questi numeri, se confermati altrove, si trasformano in un ulteriore carico sul nostro sistema sanitario, già sottoposto a uno stress inverosimile.
Non è possibile al momento immaginare di ammorbidire il distanziamento sociale: lasciar dilagare il Coronavirus causerebbe un collasso inimmaginabile della salute pubblica. Ma certo è, a mio avviso, che si potrebbe iniziare a discutere sulle possibilità di effettuare passeggiate in solitaria (non dovendosi limitare ai 300 metri dalla propria abitazione, come previsto ora) senza il timore di esser fermati dalle pattuglie, pur fermo restando d’obbligo l’uso della mascherina e dei dpi, l’attenzione all’evitamento di ogni tipo di assembramento, così come all’evitamento delle vere e proprie “gite” nei parchi o fuori porta…norme che, se mancassero, causerebbero sicuramente una incapacità nei cittadini di autolimitarsi.
Come afferma Costanza Jesurum “Non bastano le passeggiate a risolvere il problema di salute mentale al quale stiamo andando incontro, perché quello che manca alle persone sofferenti, più ancora che lo spazio aperto, è lo scambio con altri esseri umani”. Tutto vero. Ma credo anche che sicuramente già la parte legata all’attivazione della circolazione sanguigna dovuta all’attività fisica del semplice camminare (seppur in solitudine e per tempi brevi e in luoghi non distanti da casa,) così come l’esposizione all’aria ed alla luce del sole, senza dover esser esser accompagnati dalla sensazione di star commettendo un reato, potrebbe già essere un buon punto di partenza!

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44Condivisioni: 1Laura Canis – Psicologa Psicoterapeuta www.iotiaiuto.netMi piaceCommentaCondividi

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